recensioni de "Le meccaniche del quinto"






Venerdi 18 Febbraio 2005


Colti Kyrie, tra new wave anni '80 e Battiato
La band milanese presenta l'album d'esordio, «Le meccaniche del quinto»: liriche ricercate, citazioni e un omaggio a Tolkien.
Franco Battiato, i Cure e i Joy Division. Se qualcuno ci chiedesse chi ci è venuto in mente ascoltando per la prima volta il disco dei Kyrie, i nomi sarebbero questi. Ma anche se i testi colti ci hanno ricordato l’autore di «La cura» e certi giri di basso rimandano chiaramente alla new wave anni Ottanta, «Le meccaniche del quinto», l’album d’esordio della band milanese, resta un prodotto solido, interessante, con arrangiamenti curati e liriche ricercate, non facili da trovare nel panorama indipendente italiano.
Del resto il quintetto meneghino non è esattamente alle prime armi. L’album prodotto dalla Pma Records, label di Urbino, e distribuito non solo in Italia, ma anche in Germania, da Audioglobe è giunto sul mercato discografico nell’aprile 2004 dopo nove anni di carriera, centinaia di concerti, la comparsa di brani in varie compilation (una delle quali firmata da un’etichetta newyorkese, la Cyxinkorp) e ben quattro demo: «Da lontano», del 1995, «Biennale», del 1996, «In ricordo di Edith Behar», del 1997, e «Le inutili divagazioni di un aeronauta», del 2000. Già dai titoli si evince che i Kyrie (espressione greca che compare nelle funzioni religiose e che significa «Oh Signore») non sono un gruppo da canzonette. Scorrendo il booklet del cd - peraltro curatissimo - saltano all’occhio frasi colte e un mucchio di citazioni storiche, filosofiche e letterarie: da Kafka a Mahler, da Yeats ad Heisemberg fino agli haiku giapponesi. E c’è anche un omaggio a Tolkien, anche se Piero Sciortino, cantante, chitarrista, tastierista, nonché autore di testi e musiche, ci tiene a sottolineare che lui «Il signore degli anelli» lo ha letto in tempi insospettabili, nel 1987, molto prima dell’arrivo della saga sugli schermi cinematografici. «Siamo partiti nel 1995 con sonorità prettamente e abbastanza pesantemente new wave - racconta -. Non che queste non compaiano anche in “Le meccaniche del quinto”, in cui tra l’altro abbiamo inserito diverse tracce con parecchi anni di vita, benché riviste, corrette e riarrangiate, però abbiamo cercato di sganciarci lentamente da questa etichetta. E’ vero che nei nostri pezzi si sentono le influenze di gruppi come i Cure o, per citare nomi meno noti, i Sound o i Cranes, ma ci ispirano anche altre cose che magari non traspaiono nell’album. Ultimamente, per esempio, io sto ascoltando una valangata di musica classica».
Non tutte le tracce si equivalgono. Tra i momenti più belli dell’album, spiccano le immagini evocative di «Lipsia 1933», gli accordi di piano che aprono «Rifugi culturali», i ritmi serrati di «Decadenze». Il pezzo più orecchiabile, che potrebbe tranquillamente raggiungere il grande pubblico (se fosse facile uscire dal circuito indipendente...), è, però, l’elettro-pop «L’uomo macchina», non a caso scelto come primo singolo, in cui Sciortino parla della condizione di quello che definisce «l’uomo ordinario, che vede solo ciò che ha sotto gli occhi».
Il secondo estratto è, invece, «Caffè viennese», brano da cui i Kyrie hanno tratto il loro primo video. «Un filmato un po’ surreale - dicono -, che, come la canzone, vuole rappresentare la non permanenza delle cose. Lo presenteremo venerdì, durante il concerto allo Zoe Club. Nonostante facciamo tutti altri lavori, riusciamo sempre ad organizzarci per delle date dal vivo: l’energia che ti dà la gente quando sei sul palco è una cosa impagabile». E il successo? «Non siamo di quelli che dicono che non ci interessa. Se venisse a patto di snaturarci, no. Se arrivasse per quello che facciamo... magari!».   
(Raffaella Oliva)    


recensione della rivista "IL MUCCHIO" n. 577 del 4 maggio 2004

Quasi dieci anni di attività per Piero Sciortino e i suoi Kyrie, spesi tra autoproduzioni, partecipazioni a compilation (il primo volume della serie "Soniche Avventure", per esempio) e, naturalmente, concerti, tra cui la recentissima apparizione al Festival della Musica di Mantova. E ora, l'esordio ufficiale con "Le meccaniche del quinto". Un lavoro maturo come ci si potrebbe aspettare da una formazione di tale esperienza, forte di una personalità ben definita e di un lavoro di produzione massiccio, finanche insolito per un prodotto indipendente. Grande, infatti, la stratificazione di suoni e strumenti, che dà corpo a trame figlie leggittime della dark-wave della prima metà degli anni '80. Non a caso i primi nomi che vengono alla mente sono i Cure, e tuttavia si tratta di un riferimento che si fa esplicito solamente in qualche episodio particolare (su tutti "Spazi bianchi come nuvole"), in alcuni vocalizzi o fraseggi di chitarra. Volendo continuare col gioco dei rimandi, potremmo citare anche i Joy Division (il giro di basso di "Ritiro estivo") o il Franco Battiato più pop ("L'uomo macchina" e, in generale, l'intellettualismo palese ma non gratuito di buona parte dei testi), ma solo a patto di mettere in chiaro che non ci troviamo di fronte a un calligrafico esercizio di stile, bensì a un disco solido, compatto e, nel suo guardare al passato, tutt'altro che rétro. Considerando anche il prezzo più che invitante, 12 euro e 50, chi ama certe sonorità pop-rock lievemente goticheggianti dovrebbe farci un pensiero.
(Aurelio Pasini)

  
recensione del sito web "ROCKIT", 5 luglio 2004

A suggello di una carriera decennale condita da centinaia di concerti e da quattro interessanti demo (“Da lontano”/1995, “Biennale”/1996, “In ricordo di Edith Behar”/1997 e “Le inutili divagazioni di un aeronauta”/2000), i Kyrie si lasciano alle spalle l’oscuro circuito delle auto-produzioni e con “Le meccaniche del quinto”, album prodotto dalla PmA records e distribuito dalla lungimirante Audioglobe, debuttano nel mercato discografico proponendosi come una delle più interessanti realtà della scena indie italiana.
Il loro cimento li vede protagonisti di un ispirato rock d’autore che, con i suoi tratti eleganti e raffinati, crea un intrigante rimando alle tematiche esistenzialiste e gli umori new wave di certe realtà musicali degli anni ottanta (Diaframma in primis, ma anche i Cure, a voler varcare gli italici confini).
Esempi emblematici sono “Lipsia 1933”, brano che con le sue struggenti immagini (“Lipsia anni trenta, roghi in piazza bruciano l’arte deformante”) apre in modo magistrale il cd, “Caffè viennese” infarcito di atmosfere romantiche e decadenti che rimandano alla Secession a Klimt e a Schiele, e “Decadenze” con i suoi ritmi serrati e lancinanti.
Ma queste, sono solo alcune delle perle disseminate dai Kyrie nel loro album: ce ne sono molte altre che brillano nelle liriche firmate da Piero Sciortino, nelle affascinanti alchimie sonore (davvero stupenda la melodia di pianoforte che apre “Rifugi culturali” e il ritmo ipnotico de “L’uomo macchina”) ma anche nel gusto estetico del booklet, impreziosito da suggestive immagini e nelle citazioni sparse tra i testi delle canzoni (Kafka, Mahler, gli haiku giapponesi…).
Tante evidenti dimostrazioni di talento, alla luce delle quali non resta che augurarsi che, per i Kyrie, questo sia il disco della svolta e che la “visibilità” raggiunta sia foriera dei meritati successi.
(Federico Linossi)


recensione del sito web "ONDAROCK.IT", novembre 2004

Giungono finalmente al debutto ufficiale i milanesi Kyrie; un primo cd ufficiale che serve a fare il punto di una carriera iniziata nel 1995 e sviluppatasi attraverso quattro demo-cd auto-prodotti prima di questo "Quinto". Quasi tutti i brani, infatti, sono versioni rivedute e corrette, tramite uno scintillante lavoro di produzione e arrangiamento, di canzoni già presenti sui quattro lavori precedenti.
All'insegna delle sonorità più classicamente "wave" di inizio anni Ottanta, il gruppo capitanato da Piero Sciortino (voce, chitarre e tastiere nonché responsabile di musiche, testi e arrangiamenti) si fa notare per la felicissima scrittura e scioltezza dei suoi brani, che hanno come coordinate e numi tutelari i Cure - diciamo quelli di "17 Seconds", soprattutto - e Franco Battiato, con spruzzate qua e là di Ultravox, Sound e - diciamolo, visto che di gruppo italiano si tratta - dei magnifici e purtroppo lontanissimi "albori" di gruppi quali Diaframma e Litfiba.
   Rinverdiscono i fasti di quegli anni i Kyrie, senza mai suonare troppo pesantemente citazionisti, epigonici e soprattutto senza assolutamente apparire fuori dal tempo: la loro è una musica piena di modernità e di energia. Sciortino è songwriter di gran classe, anche se come cantante risulta forse un po' monocorde e spesso poco incisivo: ma i suoi brani brillano di luce propria. L'apertura affidata a "Lipsia, 1933" tra nostalgia e speranze (si parla di emigranti), mette subito in risalto i punti forti dei Kyrie: l'estrema eleganza e disinvoltura, segno di una personalità forte e di sicurezza nei propri mezzi. "L'uomo macchina" (Kraftwerk über alles) è uno dei loro pezzi più vitali e felici, oltre a essere il loro più dichiarato omaggio a Battiato: ritmica (alla batteria, sintetica e non, Renato Martinelli), liriche e struttura rimandano inevitabilmente alla "Solitary Beach" (con in più le chitarre di "Strani Giorni") del cantautore siciliano.
   "Caffè Viennese", languida, nebbiosa e raffinata, è il capolavoro del gruppo, sopraffino esercizio di stile, superbamente arrangiato e prodotto, esecuzione della band in magico equilibrio tra una calda e coinvolgente passionalità e l'aristocratico distacco del perfetto dandy new wave.
"Quello che non vedo" torna a premere invece sull'acceleratore, con un ritmo gelido e sincopato à la Cure.
"Rifugi Culturali" e la lunga "Ritiro Estivo" si perdono invece in un estetismo forse eccessivo, in un certo compiacimento stilistico che smorza un po' quella naturalezza che finora era stata l'arma migliore del gruppo. Ma arriva per fortuna "Spazi bianchi come nuvole", ariosa e malinconica composizione che mostra anche come Piero Sciortino sia in possesso di un sopraffino gusto pop (un pezzo questo che se fosse ben promosso potrebbe diventare facilmente una hit). A marchiare a fuoco la bellissima "Decadenze" sono, ovviamente, i decadenti "mitteleuropei" per eccellenza: gli Ultravox (quelli di brani come "New Europeans", soprattutto). L'altro capolavoro del disco è "Nimloth Kirloth", una meravigliosa fiaba carica di spleen (testo straripante di citazioni tolkieniane), che rallenta i ritmi immergendosi in un placido e soffuso arrangiamento da camera.
   In chiusura gli undici minuti di "Abbandonandomi" mostrano anche ambizioni compositive di portata ben più ampia: la struttura tradizionale della canzone "dark-wave" si dissolve lasciando spazio a un lungo intermezzo (meglio: un requiem) per organo e archi (sintetizzati) che introduce alla chiusura vera e propria: ed è una chiusura che lascia il segno, straniante e angosciosa.
I Kyrie ripropongono un sound non originale, certo: i Kyrie però hanno talento. Quello vero. Occhi aperti e puntati su di loro. La new wave italiana esiste ancora ed è in gran forma.
Voto: 7/10
(Mauro Roma)



recensione del sito web "PASSIONEALTERNATIVA.COM", novembre 2004
 
Cultura e padronanza di linguaggio, spessori mistici di una rappresentazione quasi fiabesca, ai limiti della irrealtà, povere incognite di un pregiudizio sterile, basato essenzialmente su una scelta alquanto sbagliata, su una ridicola formulazione luccicante. Oscurità e malessere, perdizione e rarità, organismi di un saccente luogo selvatico, situato raramente distante, situato raramente vicino. Dark wave e urla desertiche che inneggiano violini dalle scarse emozioni virali, frangenti di pellicole spente che si innalzano con la forza unica del calore positivo, del calore dinamitardo, meccaniche di una ricostruzione viscidamente casuale, libera dallo stesso spirito di una giornata nascosta dal vento, piovosa in eccesso. I Kyrie, sono uno di quei gruppi altamente complessi, pieni di fisime mentali, e approvazioni in puro standard celebrale, una band che attraverso la propria incostante verità, narra vicende di raro grigiore, di eterna opportunità. Artigiani del proprio essere, destinato ad un apparato altamente disciplinato e consistente, operai di una infatuazione illimitata, svolti troppo spesso a lavori di fiducia, a emanazioni di peccato estremo. Fitte e ingombranti note del bel vedere, impostate e leggere come piuma sul marmo, come amore sul vetro, fitte degenerazioni sonore, che spaccano continuamente la percezione di una melodia stanca e repressa, minima ed essenziale. Rarefatti impietriti da bellezze sconvolgenti e vibranti, traduzioni di una vendetta sottile e fina, vendetta portata all'incessante qualità del divino, all'incessante avidità del tempo. Correzioni di ingegno superfluo, si distaccano nettamente con altre forme millimetriche di errori umani, di gestazioni casuali. Ponderati e saccenti, calcolatori e visionari, persi di se e ritrovati dal senso, dalla buona irregolarità. Intellettualmente dinamici, pieni di voglie esterne, di curiosità basilari, di ignoranze inimmaginabili. Poetiche di una gioventù parallelamente provata, poetiche di una stagione rarefatta, ottusa, soave e rivoluzionaria, poetiche dedicate all'universo persona, all'universo personale. "Le Meccaniche del Quinto", è un disco che rappresenta in pieno l'immaginazione di un gruppo che non ha mai smesso di sognare, di inventare nuove proposte, nuove facoltà, rappresenta sopratutto la generosità d'animo dei ragazzi che con il tempo hanno appreso molto dalla vita, riuscendo a maturare fino all'ultimo, fino all'insperato tentativo di amare, di riflettere, di provare.
Voto: 9
(Eugenio Nesci) 




recensione del portale web "MESCALINA" del 23 maggio 2004
   
Stranezze della discografia attuale: dopo ben quattro lavori autoprodotti, di cui uno doppio, ecco finalmente disponibile nei negozi il fatidico album che raccoglie una selezione dei migliori brani di uno dei gruppi italiani più affascinanti degli ultimi anni, mirabilmente prodotto da PmA e distribuito da Audioglobe.
Un vero e proprio debutto ufficiale, diranno molti. Un meritato premio dopo anni di dura lotta per uscire dall’invisibilità dell’autoproduzione, diranno altri. Sia che vi schierate con una parte o con l’altra, per accostarsi ad un album come questo non vi è richiesta altro che la disponibilità all’ascolto, senza preconcetti di sorta, nei confronti di una formazione che (finalmente!) ha qualcosa di prezioso da raccontarci.
Una manciata di episodi, tra cui due brani inediti in apertura, tutti registrati nuovamente con alcune rifiniture negli arrangiamenti rispetto a quelli originali, segnano indiscutibilmente la raggiunta maturità del quintetto milanese.
Fedeli da sempre ad una formula stilistica che si accosta alla reinterpretazione della tradizione cantautorale italiana e si innesta alle solide basi della tradizione wave inglese, i Kyrie non paiono interessati al mero intrattenimento, ma piuttosto si servono della forma canzone per interrogarsi, senza mai apparire troppo scontatamente espliciti, sull’esistenza. I testi di Piero Sciortino sono quindi popolati di ricordi, rimandi che sfiorano l’idea di religione, riflessioni filosofiche, citazioni letterarie e artistiche. In questo senso “Le meccaniche del quinto” è un album di formazione, nel quale vengono trattati temi importanti, rivestiti dai contorni rarefatti tipici del vedere melancolico tipico di certe atmosfere storicamente dark.
Se quindi “Lipsia 1933” vuole essere una sorta di diario a tinte seppia che testimonia i sogni di emigranti in anni difficili, così la raffinata e dolente istantanea di “Caffè viennese” avvolge e sconvolge come un quadro di Klimt. “Rifugi culturali” e “Ritiro estivo” insieme sono un dittico indimenticabile, un viaggio nella memoria vissuto con un aura di misticismo e commossa malinconia, mentre “Decadenze” è sospesa sul doppio binario di memoria e presente alla ricerca, tra gli estetismi letterari di “A ritroso” di Huysmans, del significato di un’immagine perduta.
Attenzione però: non si tratta affatto di nostalgismo o dell’ennesimo e modaiolo recupero di un suono per compiacersi nei ricordi di una stagione irrimediabilmente passata, tutt’altro. La poetica di testi introspettivi e sospesi dei Kyrie non potrebbe vestirsi di altra ambientazione sonora se non quella romantica e decadente appartenuta alle gloriose stagioni della new wave di gruppi quali Cure, Clan of Xymox e Sound, rinnovandone i fasti e aggiornandoli all’approccio musicale attuale, ottenendo una miscela sonora ed espressiva rara e riuscita.
Va segnalata, come se non bastassero dieci brani splendidi, la sorpresa di una traccia nascosta, con lo struggente richiamo agli incanti fantastici di un’infanzia senza tempo.
“Le meccaniche del quinto” è tutto ciò ed altro ancora: un album prezioso, indispensabile come un compagno di viaggio che ci sappia accompagnare là fuori, dentro noi stessi.
(Andrea Salvi) 


 
recensione "KRONIC"  giugno 2005

Fondamenti di fisica in chiave new wave.
Per la serie meglio tardi che mai (vero capo?) anche Kronic arriva a parlare di questo debutto, che poi un vero e proprio debutto non è, degli italiani Kyrie. Per chi non avesse seguito il lungo percorso musicale della band, il suo spaziare nel tempo e attraverso i demo, ‘Le Meccaniche Del Quinto’ sarà una emozionante sorpresa, per gli altri l’ennesima conferma del talento di un progetto musicale raffinato e in grado di uscire completamente dalla massa. I Kyrie hanno le radici nella wave degli anni ottanta, in quella inglese, Joy Division, per il riffing e i giri di basso, e in quella italiana, da Battiato ai Diaframma, per l’eleganza e la profondità dei testi. Due esempi? L’iniziale superba ‘Lipsia 1933’ e il gusto delle linee vocali di ‘Caffe’ Viennese’. Ma c’è dell’altro. C’è la capacità di scrivere buona musica, c’è l’abilità di tessere un suono scevro da orpelli ma elegante in ogni sua grana su cui poggiano testi bellissimi, testi soprattutto intelligenti, che si fanno leggere e studiare, che dimostrano come la musica rock possa esprimere emozioni e pensieri, prendete ‘Rifugi Culturali’, ‘Ritiro Estivo’ oppure ‘Decadenze’.Quando tutto si assopisce arriva ‘Nimloth Kirloth’, quando ci si avvicina a sonorità più “immediate” spunta ‘L’Uomo Macchina’, e, su tutto, resta l’impressione che questo ‘Le Meccaniche Del Quinto’ meriti che ci si levi il cappello quando lo si incontra per strada. Decisamente valido.
Voto: 4/5
(Federico Tozzi)   



recensione del sito "RADIOCOOP.IT", gennaio 2005

Interessante quanto atipico esordio dei milanesi Kyrie.
Le coordinate musicali attingono dalla new wave più colta e meno sfruttata degli anni 80 , quella degli Ultravox , dei primissimi New Order e Cure e , perchè no ? , dalla via italiana , segnata da Diaframma , Litfiba , Garbo , Viridanse , Dark Tales , Underground Life/Giancarlo Onorato.
E su tutto l`anima di Franco Battiato e tanta personalità.
Un album profondo , colto , denso , non facile ma affascinante e perfettamente riuscito che consegna i Kyrie alla scena italiana , con la speranza di vederli presto ai vertici .
Hanno tutte le carte in regola per arrivarci. www.radiocoop.it



recensione del sito "DNAMUSIC.IT", marzo 2005

Atipico. Sono davvero felice quando mi capita di ascoltare ed analizzare un prodotto musicale che poi riesco a definire con questo aggettivo, poiché nello stantio e poco fertile panorama musicale italiano è ben raro poterne fare uso: il primo cd dei Kyrie merita pienamente tale attributo.
“Le meccaniche del quinto” è il debutto discografico ufficiale della band milanese che in realtà aveva già precedentemente autoprodotto quattro demo-album: con la realizzazione del prodotto definitivo si corona un’attività durata più di dieci anni nel mondo musicale.
Addentrandoci nei meandri di questo progetto, dalla prima all’ultima traccia non ci si può non accorgere della particolare rilevanza dei testi, ermetici ed intellettuali al punto giusto, pieni di riferimenti e citazioni da cogliere con la dovuta attenzione.
Il tutto infatti si snoda tra la storia, la letteratura, arte e tante piccole nicchie di poetico romanticismo che pervade l’atmosfera dell’intero album.
Per essere estremamente sinceri, musicalmente parlando non si tratta di una vera e propria novità assoluta: il sound che viene proposto dai Kyrie è quello della migliore New Wave anni Ottanta, da Battiato ai Cure, sfiorando i Bluvertigo della prima maniera. Il tutto ovviamente improntato in maniera dirompente da una propria personalità artistica e tecnica da non far rimpiangere nessuno.
Molto belle le armonie vocali, le chitarre acustiche e l’ampio respiro che scaturisce dall’ascolto di ogni singolo brano…abbiamo davanti non degli emergenti, ma dei validi professionisti.
Un disco sicuramente di non facile ascolto ma proprio per questo un ottimo incentivo al ragionamento, all’analisi e alla riflessione, musicale e non.
Una mensione personale: bellissima “Lipsia 1933”, immagini, ricordi, situazioni…
(Leandro Giori) 



recensione del sito web "FREAK OUT", 25 ottobre 2004

Rock colto, testi mai banali e la ricerca/descrizione di sensazioni. Questo sembra essere il manifesto musicale dei Kyrie, che si materializza nel loro primo cd, “Le meccaniche del quinto”. Anzi, dire “il primo” probabilmente sarebbe una grave offesa per un gruppo che da anni, ormai, è sulle scene, ma che solo quest’anno è riuscito a vedere il proprio lavoro prodotto da una label, la PmA Records di Urbino.
Sì, perché alle spalle, i cinque milanesi, hanno già quattro demo, rigorosamente autoprodotti, e in quest’album hanno racchiuso il lavoro di circa dieci anni. Un best of, praticamente. E “Le meccaniche del quinto” è un lavoro ben riuscito, che spazia da Battiato (Caffè viennese), fino alle sonorità decadenti dei Cure, amore dichiarato del gruppo. “Lipsia 1933”, “L’uomo macchina”, “Ritiro estivo”, sono solo alcuni dei gioielli che i Kyrie ci regalano per quest’ “esordio”, che adesso aspetta solo la visibilità che merita. Speriamo.
(Francesco Raiola



recensione del sito web "ROCKON.IT", 26 ottobre 2004

Primo disco per i Kyrie. Primo album dopo undici anni e quattro promo.
Finalmente. Ultimato, missato e prodotto “Le Meccaniche del Quinto” non passa inosservato e va a piazzarsi dritto dritto tra il cuore e la mente.
Elegante, colto, storico, descrittivo di stili architettonici, di strade, di città, geografico.
Ricordi di tempi andati, di “giorni che non tornano indietro”, di momenti che saranno.
Rievocazioni costanti di sonorità inserite nel palinsesto musicale degli anni ‘80. Pop con autorevoli influssi elettronici e basso deciso, spesso cupo, contribuiscono a fare dei Kyrie un gruppo di registi ancora restii a passare alla pellicola a colori. Autori complessi e stilisticamente aggrappati al secondo millennio, con costruzioni di atmosfere da café di inizio secolo.
Continui riferimenti culturali alimentano desideri più o meno sopiti di viaggi mai intrapresi, piuttosto che letture erudite ed ascolti ricercati.
Cortometraggi travestiti da canzoni.
Tra tutti, “Nimloth Kirloth” si distacca leggermente dal resto dei brani per l’abbandono della maggior parte degli strumenti, fatta eccezione per la chitarra ed un morbido tappeto di archi e tastiere, mentre l’italiano cede il passo all’inglese.
Nascostamente e furtivamente sottratta alla scaletta, “Gli inganni delle altalene”, dove organo, archi sintetici e suoni sparsi fanno da contorno alle immagini raccontate dal piccolo Federico Martinelli che accompagna la voce del cantante Piero Sciortino.
“Le Meccaniche del Quinto”, strutture complesse, ma scorrevoli.
Un disco quasi fuori dal tempo, per ogni tempo.
Voto: 4 stelle
(Emanuele Tirelli) 



recensione del sito web "SONIKMUSIK.COM", ottobre 2004

Un viaggio musicale tra poesie, storia e musica questo album d'esordio dei Milanesi Kyrie. Un lavoro di assoluta qualita', con un suono ricco di spunti anni ottanta, molto vicini ai primi The Cure, o per restare in terra Italica potremmo accostarli a Battiato.
Un lavoro compatto, ricco di atmosfere dark e gotiche, con testi raffinati, ed anche se come idee musicali non hanno certo portato qualcosa di nuovo, hanno la qualita' di saper al meglio interpretare l'anima poetica di Piero Sciortino.
Ascoltando le dieci tracce sembra quasi di sfogliare un libro e lasciarsi accompagnare in un viaggio carico di riflessioni e spensieratezza allo stesso tempo.
Brani come "Decadenze" o "Ritiro estivo" solo per citarne un paio, sono dei veri capolavori, una perfetta fusione tra viaggio poetico e musica, con quel pizzico di atmosfera raffinata che sembra essere l'arma vincente per questa band.
In conclusione e' un buon prodotto anche se forse solo veri amanti di scritture poetiche e nostalgici delle sonorita' anni ottanta saprebbero apprezzare del tutto questo lavoro dei Kyrie.
Voto: 7.5
(Loris Camozzato) 

 


recensione del sito web "MUSICALNEWS.COM", 18 luglio 2004 

Colto, elegante, raffinato e si potrebbe continuare all’infinito. E ancora tanti aggettivi positivi per descrivere “Le meccaniche del quinto”, il nuovo lavoro dei Kyrie. Per chi ci segue da un po’ dovrebbe ricordare questa formazione, autore di demo imperdibile come “Le inutili divagazioni di un aeronauta”, un vero e proprio concept album sul tema della libertà, o il meraviglioso “In ricordo di Edith Behar”. Con all’attivo importanti partecipazione a rassegne e compilation, la band milanese (attiva dal 1995), amata e seguito dal popolo dark, arriva finalmente ad un esordio ufficiale. A dare alle stampe questo splendido lavoro (o capolavoro se preferite) è l’etichetta indipendente PmA records di Urbino, con il supporto delle edizioni Shinseiki di Brescia e con la distribuzione a cura della Audioglobe. “Lipsia 1933” è un brano decisamente ermetico, che non sfigurerebbe nel repertorio di Franco Battiato, incentrato sulle evoluzioni di scienziati degli anni ’30, in Germania, alla vigilia della pazzia hitleriana. “L’uomo macchina” si caratterizza per una struttura ritmica molto potente, e per un martellante riff di chitarra, supportato ottimamente dalle tastiere, pronte ad amalgamare le strutture armoniche. I Kyrie - Piero Sciortino (voce, chitarre, tastiere, testi, musica), Dario Sangiorgi (basso), Roberto Vidè (tastiere), Federico Bratovich (chitarra, tastiere) e Renato Martinelli (batteria) – dimostrano di aver raggiunto una notevole maturità artistica e stilica, fatto evidenziat da una fine scrittura (i brani sono stati composti e arrangiati da Piero Sciortino), che raggiunge i suoi momenti più alti in brani come “Rifugi culturali”, “Ritiro estivo” e “Decadenze”. Certo è che resta difficile indentificare il brano migliore, visto che ogni singola traccia manifesta peculiarità di un certo spessore, testi affascinanti e narrativi, e musiche di un certo impatto. “Le meccaniche del quinto” è il classico disco destinato a restare a lungo negli annali della musica indipendente italiana, un lavoro che una volta messo nel lettore fai fatica a toglierlo. Molto curato anche l’artwork grafico che accompagna il disco, perfettamente in linea con i contenuti dell’album.
(Antonio Ranalli) 



recensione del sito web "ALTERNATIZINE.COM", 9 luglio 2004

LE MECCANICHE DEL QUINTO, album d’esordio ufficiale dei Kyrie, è forse il regalo più bello che la band poteva farsi, (e farci!), dopo circa dieci anni d’attività che hanno visto Piero Sciortino, Federico Bratovich, Dario Sangiorgi, Roberto Vidè e Renato Martinelli impegnati in una serie di autoproduzioni, concerti e partecipazioni a compilation; (fu proprio in una compilation che ebbi, infatti, il piacere di apprezzare per la prima volta Caffè Viennese e Ritiro estivo che in “C sento bene?”, recensita circa un anno fa sempre per Alternatizine, spiccavano rispetto alle altre sia per la raffinatezza di sound che dei contenuti).
A metà strada tra un certo tipo di pop italiano intellettuale e decadente, (tra tutti mi vengono in mente il Franco Battiato più filosofico e i primi, ormai sciolti ahimè!, Bluvertigo) e la wave dei mitici “Eighties” inglesi,  (e qui l’elenco sarebbe lunghissimo per cui cito per tutti Cure e Siouxie and The banshees, icone del british pop “di matrice oscura” di quegli anni), le lyrics dei Kyrie sono connotate da numerosi rimandi al passato, specie ai primi anni del 1900.Non a caso il brano d’apertura è Lipsia 1933, ritratto dell’atmosfera di fervore culturale e politico degli quegli anni “di uniformi di regime” e di “teorie dei nuclei” che segnarono la storia europea. Sempre nel mito delle avanguardie si sviluppa L’uomo macchina, traccia più ballabile, tra virtuosismi di tastiere e giri di basso cadenzati che si ritrovano anche in Quello che non vedo, quasi una nenia dal sapore vagamente acido.
Rifugi culturali smorza invece, con l’intro di pianoforte, il tono delle precedenti, portando l’ascoltatore con il pensiero alle colline di Torino e alle chiese di Milano tra “sinfonie di Mahler e le icone bizantine”.
Splendida Ritiro estivo, evoca nozioni d’ arte, matematica, letteratura, chimica e filosofia rivissute nel ricordo degli studi giovanili. Più soave e romantica è Spazi bianchi come nuvole, mentre decisamente eterea è Nimloth Kirloth che contrasta con la precedente Decadenze, traccia forse più ricca tra tutte di campionamenti e uso dei sinths. Degna di nota, perché molto curata è anche la realizzazione grafica e fotografica del booklet che ci presenta in copertina l’immagine in color seppia di un vecchio stabile industriale.
Alla fine dell’album sicuramente si capisce di avere tra le mani forse una delle rare novità interessanti nel panorama italiano musicale di un certo livello;
Mentre allo stesso tempo, sicuramente nel cuore di molti di noi, rimane l’aria rarefatta e romantica di quel “caffè dei portici” dai “lampadari con candele e dame in posa per il tè”- talmente bello da divenire quasi esperienza reale- tra i “suoni di una musica da camera” e il fumo che “dalle tazze” “pigramente sale appannando i vetri che separano da fuori”.
Dopo ben quattro lavori autoprodotti, LE MECCANICHE DEL QUINTO, registrato a Milano da Franco Fucili con il suo studio mobile tra maggio e giugno del 2003, edito e e masterizzato da Alessandro Peruzzi e Peppe “Pepsi” Conte al mediastudio di Urbino, verso Ottobre 2003, prodotto da PmA nel 2004 e distribuito da Audioglobe è disponibile ora anche nei negozzi di musica del settore. Come dire….Per la gioia dei fans! 
(Laura Deiana) 



recensione della rivista "ROCKSTAR" n. 286 di giugno 2004

Un debutto... sovrabbondante.
C'è molto, anche troppo in questo disco. Prima ancora della musica sono i testi che impressionano per la quantità di riferimenti presenti: Kafka, Mahler, buddhismo, fisica nucleare. Un approcio assai personale, musicalmente affine ai Cure (specialmente nel cantato) che riprende molto del suono dark di quegli anni. Nonostante la complessità di questo esordio, bisogna riconoscere il fatto di trovarsi di fronte a un gruppo con delle capacità non comuni: la loro crescita dipenderà molto da quanto saranno in grado di liberarsi dal troppo.
(Alessio Papaccio) voto: 3 stelle su 5



recensione del sito web "IDBOX.IT", settembre 2004
 
È raffinato il suono dei Kyrie. il primo lavoro ufficiale per la band di Milano esce per la PmA records ed è sorprendente per qualità e godibilità. Dieci anni di attività nell'underground autoprodotto hanno formato questi ragazzi che esordiscono così con una buonissima tracklist, "Le Meccaniche del Quinto" suona decisamente new wave, quei rimandi immediati alle sonorità dei Cure, di Battiato e anche dei Diaframma emergono prepotentemente nel contesto del cd. I Kyrie riescono, in ogni modo, ad avere un proprio look, caratterizzando i brani con linee vocali abbastanza particolari, centrando un'ottima lirica cantautoriale soprattutto in "Caffè Viennese", dotata di un'atmosfera molto dolce. Sono molti i brani da seganlare a partire dall'iniziale "Lipsia 1933" bellissima nella sua cadenzata melodia e scanzonata lirica, "L'Uomo Macchina", la già citata "Caffè Viennese", “Rifugi Culturali”, “Ritiro Estivo” e “Decadenze”. Non che le altre tracce siano inferiori, ma probabilmente le sopra citate risultano le meglio costruite. L'unico neo rimane forse nelle scelte vocali, belle e divertenti, ma un po' simili tra loro, con una tonalità univoca e mai rischiosa. La maturità stilistica costruita sulle fatiche di chilometri e concerti trasuda in questo esordio ufficiale dei Kyrie, evidenziando l'alta cultura e gli ottimi gusti stilistici della band.
(Fabio Igor Tosi) 


recensione del portale web "MUSIC BOOM" del 18 maggio 2004

LA SOTTILE LINEA SCURA. Una sottile linea nera tirata sulla superficie lucida, il riflesso di un'alba scura dovuta all'addensarsi di nuvoloni spessi, le sensazioni di un vasto immaginario scandite con pulsazioni nette, il fruscio del vento che accarezza tristi foglie secche.
Queste le immagini che evoca il primo cd ufficiale dei Kyrie, band milanese che dopo dieci anni di attività - dai quali emergono egregie autoproduzioni ed importanti apparizioni in diversi ambiti - approda all'etichetta urbinate PmA Label. Dieci tracce in cui l'intellettualismo in stile Battiato - frutto del quale sono liriche lucide ed intense - si insinua attraverso la spruzzata noir dei Cure, in una danza dark-wave che fa di questo Le Meccaniche Del Quinto un disco ottimo e ricco di spunti sorprendenti.Notevole la capacità della band di manipolare e personalizzare le proprie influenze - il che garantisce ai Kyrie di uscire a testa alta da qualsiasi eventuale paragone - ed encomiabile il lavoro di produzione che fornisce a tutti i suoni il giusto peso ed il colore necessario a far parte di un'amalgama complesso ed articolato.
Un sound dai toni scuri sui quali prende forma il cantato magnetico di Piero Sciortino alternato ad eccellenti fraseggi di chitarra, andature viscerali - spesso lente ma mai tediose - e soluzioni stilistiche sorprendenti sono degna testimonianza di un lavoro maturo come pochi, ricco di sfaccettature dovute ad una personalità forte e pungente. Passando ai singoli brani è doveroso citare l'apripista Lipsia 1933 ed il suo profondo potere evocativo, L'uomo macchina - primo singolo estratto dall'album - in cui le nette cadenze sfociano in aperture ariose, Rifugi culturali e i suoi intrecci strumentali, Ritiro Estivo, fitta nelle sue trame di basso puntellate da avvolgenti distorsioni chitarristiche.Colto ed emotivo, raffinato e suggestivo, Le Meccaniche Del Quinto è, in definitiva, un disco che consigliamo senza esitazioni e che, di certo, farà togliere diverse soddisfazioni ai suoi autori.
(Luca D'Alessandro)



recensione del sito web "ROCKSHOCK.IT", 4 dicembre 2004

Provate ad immaginare un disco pop col suono della new wave dei primi anni ’80, quella dei Cure e degli Ultravox. Metteteci il gusto della scrittura di Battiato, una buona manciata di idee di prima mano, testi profondi e meditati, shakerate bene e … ecco a voi Le Meccaniche Del Quinto.
Dopo quattro album autoprodotti, di cui uno doppio, i Kyrie approdano a un’etichetta e una distribuzione “vere”.
Il combo milanese si produce in una sorta di via italiana al pop, figlia tanto della new wave dei primi Cure e degli Ultravox quanto degli intellettualismi e delle sperimentazioni di Battiato.
Non solo anni ’80, dunque, in questo Le Meccaniche Del Quinto, ma anche tanta voglia di cercare una via personale a L’Uomo Macchina o al Caffè Viennese, giusto per citare due dei brani migliori dell’album e che nel titolo rimandano esplicitamente a Kraftwerk e Ultravox, mentre la voce di Piero Sortino (deus ex machina della band) rimanda direttamente a Battiato.
I testi sono profondi ed introspettivi, ben scritti, e seppure le influenze dei gruppi citati, ma anche di Diaframma e Garbo, non diventano mai saccheggio, la diffusa sensazione di sound “già sentito” rovina l’ascolto di un album altrimenti ricco di idee di prima mano.
Incaricatisi di tenere via la new wave italiana, i Kyrie sono una band di talento che nella mani di un produttore smaliziato, in grado di limarle il sound, potrebbe davvero balzare sulla bocca (e nelle orecchie) di tutti. Voto: 6,5/10
(Massimo Garofalo) 




recensione della rivista "CHITARRE", dicembre 2004
 
L’approccio che ha Piero Sciortino con la scrittura è basato sul riportare in musica immagini in struttura che ha ben poco a che fare con la classica progressione intro-strofa-ponte-ritornello…
E lo si può verificare in questo primo lavoro ufficiale dei Kyrie, di cui Sciortino è un po’ il motore centrale, che dopo anni di gavetta vede la luce in un progetto di presa non immediata su un pubblico poco attento.
Il curriculum del gruppo potrebbe far pensare ad un progetto totalmente maturo.  Lo è in parte.
Mentre rimaniamo piacevolmente spiazzati dalla profondità e dall’estetismo (non fine a se stesso) dei testi, musicalmente, a nostro avviso, c’è molta carne al fuoco: forse il desiderio di dire tutto in un colpo? Ci si trova a rimbalzare tra un’atmosfera alla Cure, una alla Battiato, qualche richiamo alla sontuosità dei Van der Graaf Generator (per altro crediamo involontario), insomma, un ampio arco stilistico.
Non sarebbe un problema se non ci fosse un impastone tastieristico (con qualche dissonanza, forse non utile) in certi punti.
Inoltre la batteria sembra quasi elettronica: perché non percussioni?
Certamente un ambito originale ma faticoso.
Per conto, basso e chitarra fanno un ottimo lavoro e gli intrecci armonici non sono affatto scontati e sono sicuramente attuali rispetto ai modelli cui si rifà il gruppo.
Il lavoro è interessante e il gruppo degno di attenzione.
Per la serie quando la prosa si tinge di rock.
(Fabio Marchei)



recensione del sito"SONICBANDS.IT", 29 dicembre 2004

Pop, new-romantic e soluzioni care alla wave italiana, in ambienti sonori quasi surreali, nella bellissima proposta dei Kyrie. Le meccaniche di quinto presenta una band matura, abile nell’arrangiamento e nella costruzione dei brani. Testi intelligenti e mai banali danno essenza a linee melodiche taglienti ed efficaci, degne del Federico Fiumani più ispirato. L’accostamento ai Diaframma non è però il solo, certe scelte (nei suoni e nell’imprevedibilità) ricordano il F. Battiato di “La voce del padrone”, così come, certi passaggi di basso, richiamano i Litfiba di “17 re”. In sostanza, siamo di fronte (ovviamente per i miei personalissimi gusti) ad un grande disco, curato, bello e decisamente ben fatto. “Lipsia 1933”, “Caffè viennese”, “Ritiro estivo” e “L’uomo macchina” solo per citare alcune perle di questo notevole lavoro. Complimenti.  
(Roberto Ferrari) 



recensione del sito "SENTIREASCOLTARE.COM", dicembre 2004

Un pizzico di stralunatezza alla Battiato, il sobrio giovanilismo di Garbo e certo wave-pop in stile Cure sono alcuni ingredienti della formula vincente dei Kyrie, quintetto milanese capitanato da Piero Sciortino approdato quest'anno alla PMA Records (Revolver, Marco Sanchioni) dopo una lunga gavetta e numerosi demo.
Le meccaniche del quinto unisce testi spensieratamente colti e pieni di immagini a chitarre di stampo indie-rock, un basso non lontano da Echo & The Bunnymen e soprattutto tastiere e synth che traghettano gli arrangiamenti verso atmosfere targate primi ’80; l’amalgama proposto nel corso delle undici tracce risulta così sicuramente riconoscibile, ma al tempo stesso freschissimo, tanta è la padronanza del gruppo con la materia affrontata. La scrittura visiva di Piero Sciortino rimanda a umori e epoche passate, accarezzando guerre e miserie urbane, libri di Kafka e architetture mitteleuropee; appoggiata su strutture semplici ma sempre azzeccate, rappresenta un must per chiunque volesse immergersi in sonorità di un certo tipo senza risultare posticcio o demodè.
Tante le influenze musicali, dal Battiato che fa capolino nella traccia d'apertura Lipsia 1933 (già la vediamo cantata a memoria ai concerti) e in quella piccola epopea incalzante di assoli emotivi che è l'Uomo Macchina, al Garbo più indie che si fa strada in Caffè Viennese, quadretto decadente che saggia il tempo della capitale austriaca; dal Bowie lunare di Ashes to Ashes in Abbandonandomi (e nella relativa ghost track, memore di certe atmosfere decadenti del periodo berlinese), allo spirito noir dei Tuxedomoon in Decadenze, passando attraverso lo spleen romantico dei Sound (Quello che non vedo), evidente in certe dinamiche tra gli strumenti, e il folk apocalittico di Nimloth Kirloth. Altrove si fa prepotente l’impronta di Robert Smith, tanto di quello languido e giovanile di Three Imaginary Boys / Seventeen Seconds (miscelato ai primissimi New Order) in Ritiro Estivo che di quello più pop in Spazi Bianchi Come Nuvole, ma in generale l’ombra del deus ex machina dei Cure si estende su tutto il lavoro, specialmente nelle parti vocali e in certi assoli di chitarra che rimandano al suo stile degli esordi.
In altre parole siamo a un passo da un autentico caso discografico; speriamo che i Kyrie godano del successo di pubblico che si meritano.
(6.9/10)
(Edoardo Bridda & Antonio Puglia)



recensione del sito "KATHODIK.IT", febbraio 2005

Esordio ufficiale con la PMA per i milanesi Kyrie, attivi dal 1995 con diverse uscite autoprodotte alle spalle: piacevolmente stupito al termine dell'ascolto da una maturità musicale che incute timore, capace di fondere alla perfezione quanto di meglio espresso dall'alternative rock nazionale in una chiara matrice wave pop stile 80's (Ultravox e Depeche Mode su tutti), distillandovi gocce di cantautorato intellettuale e intelligente che ricorda un pò Franco Battiato: il risultato, se vogliamo, si avvicina a dei Bluvertigo più composti e lineari, agli ultimi Afterhours (o meglio, penultimi, con 'Quello Che Non C'è') e soprattutto ai migliori Diaframma.
La vera nota positiva sta però nella forte e genuina personalità che l'intero lavoro emana, capace di sfocare ogni tentativo di paragone o di riferimento lasciandoli relegati in sottofondo, cosa ben rara ultimamente.
Overdose di tastiere e archi in gran parte dei brani, ad ammorbidire e smussare gli spigoli appuntiti delle chitarre e le asprezze dei testi, splendidi nella loro ricchezza espressiva e dieci spanne al di sopra della media dell'attuale underground italiano.
Nove anni ci sono voluti per un'uscita ufficiale: e la dice lunga sui riflessi del nostro panorama musicale, puntualmente tardivo nello scoprire i suoi gioielli.   Voto: 5 Stelle
(Alessandro Gentili)


 
recensione della rivista "ALL MUSIC", aprile 2005

I Kyrie esordiscono al quinto album.
Probabilmente, la band emergente (si fa per dire, visto che avevano realizzato già 4 album demo prima di oggi) con maggior personalità in questo scorcio di fine anno. Capitanati dal leader Piero Sciortino (testi, musica, arrangiamenti e produzione), i Kyrie non accettano nemmeno per un attimo il compromesso di modernità, ma addirittura, si candidano per rivalutarne e modificarne l’accezione più popolare. Nel loro bagaglio underground non c’è spazio per suoni inflazionati dal nuovo millennio, bensì ci sono elementi (sintetici e non) intenti a concorrere per una vera rilettura del pop. Per finire, una strizzatina d’occhio aglio Ottanta di Battiato… che non fa mai male.  Voto: 4/5
(Ivano Zeno)



recensione del sito "MOVIMENTIPROPG.NET", marzo 2005

Abbandonati e conosci te stesso.
Gurdjieff e John Lennon. Coltrane e Pirandello. Un derviscio roteante e Robert Smith. Tutte le foto attaccate alla parete dello studio sono più loquaci di mille righe di ringraziamenti. Scienza e filosofia, religione e letteratura, meccanica e ricerca spirituale, gnosi e new wave. Il primo vero album dei Kyrie - primo e vero perchè segue quattro demo - è semplicemente bello. Dopo una teoria di abbozzi e appunti sonori la band milanese riesce a fissare le prorie idee in forma definitiva. Lo fa con capacità, fascino, suggestione.
E' un sound new wave, fortemente anni '80, con variazioni e integrazioni in corso d'opera, che procede espandendosi: The Cure, Ultravox e Litfiba incontrano Battiato, Cosentino e Camisasca. Un sound proiettato nel futuro: un futuro in cui la ricerca personale, intima, profonda, passa per ricordi, flash della memoria, intuizioni, ipotesi, sincretismo e interdisciplinarietà.
Rock d'autore gnostico, ci piacerebbe chiamarlo così: facciamo un torto ai Kyrie ma è un termine meno riduttivo e rende il merito al quintetto, che ha saputo concentrare riflessioni e musica come raramente accade in un primo disco.
L'art rock dei cinque è grigio, poetico, introspettivo. Il libretto è agile guida ma anche di più: block notes per testi e foto, continui rimandi come in un gioco di specchi. Un susseguirsi di immagini evocate con una capacità simile a quella del Battiato del "Cinghiale bianco".
"Lipsia 1933" e "Quello che non vedo" stendono un velo di tristezza, dark rock scarno che si gonfia di tastiere ariose; il gioiello è però "Rifugi culturali", vero manifesto del gruppo. Un sound dalle pieghe un po' demodè, in bianco e nero sgualcito come vecche foto in circolo nel fondo di un baule.
New wave dicevamo: certo un brani incalzante e ombroso come "L'uomo macchina" è debitore di un'epoca e di una filosofia del suono, eppure crediamo che sia il più adatto a rivelare il pensiero della band. Un pensiero che viaggia su binari singolari, tra dark wave, accenni cameristici e contemplazione. Eppure i fans del progressivo troveranno qualche lontana assonanza con le Orme di fine anni '70, ad esempio nell'atmosfera un po' sospesa di "Ritiro estivo" ("Rinascimentale il mio modo di cercare tra le cose", rifletteteci un po') e nelle meditative brume di "Nimloth Kirloth", tra i cui veli si intravede qualche figura beatlesiana.
Sapori mitteleuropei e qualche venatura psichedelica ("Caffè viennese"), reminiscenze elettroniche tra le foschie di "Decadenze", uno slancio leopardiano in "Abbandonandomi": "Ricerco abbandonandomi memorie lontanissime" recita il brano, le stesse che evoca nell'ascoltatore.
"Le meccaniche del quinto" è un disco di debutto degno di nota: consigliamo alla band di superare certe staticità di fondo (tra l'altro tipiche del genere), nel frattempo ci abbandoniamo alle nostre lontanissime memorie.   Voto: 7
(Donato Zoppo) 




recensione "RITUAL", maggio 2005

New wave ombrosa figlia dei primi anni 80.
Conosciuti e venerati da una silenziosa cerchia di cultori, i Kyrie sono un quintetto nostrano che, dopo una gavetta fatta di quattro album autoprodotti spalmati nell'arco di undici anni di militanza underground, sono qui approdati ad un vero e proprio debutto. E, per tirare le fila, Piero Sciortino e soci hanno deciso di riarrangiare una selezione dei loro brani migliori, aggiungendovi una manciata di inediti. La miscela proposta dalla band parla il linguaggio di certa indimenticata new wave dei primissimi anni '80, un sound algido che,nell'incedere delle linee di basso, richiama alla mente Joy Division e Cure, mentre nelle raffinate combinazioni poetiche date dall'uso della lingua italiana dimostra la chiara influenza di artisti come Battiato, Garbo e Diaframma. Brani come "Lipsia 1933" e "L'uomo Macchina" confermano oltremodo questi rimandi, mentre la splendida "Ritiro Estivo" sembra quasi una outtake di "Desaparecido". Ma certo i Kyrie non sono meri epigoni affetti da mancanza di personalità, e la loro ispirazione germoglia appieno in quadretti impressionisti che recano titoli suggestivi come "Decadenze", "Caffè Viennese" e "Quello Che Non Vedo". Se in futuro riusciranno a sintetizzare meglio le loro intuizioni, potranno fare grandi cose. Nel frattempo, voi godetevi questo signor disco.  Voto: 4.5/5
(Emanuele Salvini)








I Kyrie sono un quintetto milanese, al debutto ufficiale con questo CD.
"Le Meccaniche Del Quinto" prende il nome dall'esigenza di dare un senso di continuità a quello che è stato svolto in precedenza. Prima di questo album, infatti, il gruppo aveva realizzato quattro demo
semiprofessionali, e così l'ascolto del loro primo lavoro non è altro che la ripresa di un discorso già iniziato, e che ha visto la propria genesi nel 1995. Nelle dieci canzoni (più una ghost track) che costituiscono "Le Meccaniche Del Quinto" si è cercato di miscelare ed associare indicazioni e sollecitazioni che derivavano da discipline diverse, cercando di riscontrare tra loro dei punti in comune. La domanda è: la band è riuscita nel suo intento? Sicuramente sì. Si avverte una tangibile omogeneità dei pezzi, che però non sono affatto
rispondenti a un medesimo "diktat", ma spaziano anzi da un colore sonoro all'altro, seppur sempre all'interno di un'indole sicuramente dark (Cure e affini, per intenderci). In tal senso, anche il suono della batteria sembra (chissà se volontariamente o no) far riferimento a quell'epoca.
Ok, i Kyrie non amano essere etichettati, ma un'indicazione a chi legge bisogna pur darla, no? Ottimo l'incipit con "Lipsia 1933", così come non mancano di colpire "L'Uomo Macchina" e "Caffè Viennese". Quelli che il gruppo ci offre (complici le liriche, molto "intellettualoidi") sono veri e propri "Rifugi Culturali", come recita la quinta traccia, che cita Torino e Milano: chissà, probabilmente i detti rifugi sono da individuare proprio lungo la strada che congiunge queste due città. Oppure dentro "Spazi Bianchi Come Nuvole", titolo del settimo pezzo, indovinato esempio di lucida (e libera) follia che fa da contraltare al minimalismo, fondato sull'organo, di "Ritiro Estivo". D'altronde, parlando di ritiro (un ritiro soprattutto interiore), come non adottare simili atmosfere?
Ed è proprio stabilendo questo amalgama tra testi e musiche, questo continuo rimando dagli argomenti degli uni alle melodie delle altre, che i Kyrie diramano tutto il loro primo album. E lo fanno in maniera decisamente interessante. Una menzione a parte la meritano "Decadenze", dove l'elettronica si fonde elegantemente con il sound del quintetto, e "Nimolth Kirloth", dominata da chitarre acustiche da brividi.
(Massimo Giuliano) voto: 7/10


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