recensioni de "Lo splendore del mattino che viene"
















recensione del sito web 
FUMO, INCHIOSTRO E BASSO

Non scopro l’America se dico che la musica di qualità, soprattutto in Italia, segue (o meglio, è costretta a seguire) percorsi tortuosi, costellati di difficoltà distributive e promozionali che ormai sono quasi il nostro marchio di fabbrica. Sembra che più hai talento, più la devi pagare in qualche modo. Sembra forse forzato e parossistico, ma il potenziale di alcune band è così lampante che viene naturale chiedersi perché, da certi punti di vista, ci sia un velo su questi artisti dotati. I Kyrie, nati a Milano nel 1993, sono una band che sarebbe opportuno scoprire, riscoprire e consolidare. Hanno al loro attivo sei album, tutti innervati da una cifra stilistica riconoscibile e molto originale. Un misto di cupa elettricità, sensibilità pop, derive à la Cure (soprattutto agli esordi), il tutto con un respiro che potremmo definire mitteluropeo ma nel linguaggio universale e funzionale del rock. Personalmente, li ho incontrati musicalmente nel 2004, con il loro elegante “Le meccaniche del quinto”, un lavoro coraggioso e molto suggestivo, denso. All’epoca lavoravo in un negozio di dischi import, e ricordo quanto fosse garantita la vendita del disco proponendoli o diffondendoli on air. Dopo un silenzio di otto anni, i Kyrie sono tornati nel 2012 con il sorprendente “Lo splendore del mattino che viene”, un album estremamente vario, che offre anche bei momenti acustici ed in assoluto, rispetto alla prima produzione più nervosa e dark, un’atmosfera ancora più raffinata e più pop, nell’accezione positiva del termine. Possiamo dunque dire che i Kyrie sono uno dei migliori segreti della musica italiana attuale, dove per segreto si può intendere un’entità artistica che ha ancora molto da dire. Vi invito a procurarvi i loro lavori, che certamente non vi lasceranno indifferenti; e sono certo colpirà la differenza sostanziale, e cioè il taglio internazionale della proposta, tra i Kyrie e le tante band italiane –pur in gamba, magari- che continuano a vagare in quel limbo poco promettente che è la rielaborazione di modelli esteri o di successo.
(Luca De Pasquale)





recensione del sito web ROCKERILLA

I Kyrie di Piero Sciortino sono da quasi vent’anni un segreto ben custodito dell’underground milanese e i quindici pezzi di questa raccolta potrebbero essere l’occasione buona per stanarli definitivamente: il loro suono riesce ad amalgamare influenze disparate, alternando jingle jangle e soffusa new-wave, cantautorato indie e folk progressivo (come nella meravigliosa “Casa”, che da sola vale il biglietto). Le due fonti di ispirazione più evidenti sembrano essere i Church (per tutta la prima parte dell’album) e Battiato (negli ultimi quattro pezzi): una combinazione insospettabile, che rende abbastanza l’idea della natura ellittica delle loro canzoni. INTRIGANTE.
(Enrico Ramunni)



recensione della rivista ASCENSION MAGAZINE

Dopo anni di silenzio ritornano i Kyrie, band nata negli anni novanta che, con libera matrice personale, ha saputo riproporre quelle atmosfere appartenenti ai primi anni ottanta italiani e quella wave intimista per anime con la voglia di farsi cullare dalla poesia e dal più soffice romanticismo. Di loro ricordiamo lavori come “Biennale” (autoproduzione con cui li scoprì nel 1996), il doppio “Le Inutili Divagazioni Di Un Aeronauta” (del 2000) e “Le Meccaniche Del Quinto” (del 2004, recensito sul numero 6 di Ascension Magazine) che racchiudeva il meglio di un momento di grande maturità artistica. Un gran lavoro che però, in un paese che passa dal berlusconismo al grillismo consacrando l’imbellicità dilagante, passò inosservato a chi gestisce la cultura musicale in Italia. I Kyrie però oggi tornano, confermando una verve, una poetica e la loro passione per la musica come espressione dell’anima. Trasmettere emozioni, sapere scrivere armonie e parole osservando attorno a sé la vita e i sentimenti, amalgamare suoni, disegnare riflessioni per chi vive in disparte da questa folla umana ormai diventata un oceano di stupidità gratuita… Questo sono i Kyrie. Quindici canzoni, tra qualche ripescaggio e tante nuove composizioni, per una nuova formazione a quattro che vede il nuovo Francesco affiancarsi a Piero, Dario e Renato, questi tre presenti sin dagli inizi del gruppo. Basta la traccia iniziale, quella che da il titolo all’intero album, per ritrovare tutte quelle caratteristiche dei Kyrie sopra elencate. Una bellissima poesia dalle atmosfere atemporali ricamata attorno ad una dolce melodia dai passaggi cantautorali che rimandano a un tal Battiato. Armonie ancora più wave per le emozioni autobiografiche incastonate in “Dopo 20 Anni”, situazione acustica per la soffice “Casa”. Struggente più che mai è “Il Sagrato Di San Lorenzo”, piccolo gioiello wave dal gusto anni ottanta, forte di una poesia che arriva diretta all’anima. Se questi uomini rimasti piacevolmente ragazzi hanno avuto il coraggio di tornare per regalare a chi come me li ha ai tempi apprezzati, non possiamo far altro che esprimere loro gratitudine per questo. Non arriverà certo il successo o il tripudio dei folli la fuori, ma il riconoscimento di chi continuerà a struggersi sulle magnifiche note de “L’Aeronauta” non mancherà di farsi sentire. I brani si susseguono uno dopo l’altro ed il connubio magico tra musica e poesia rimane sempre vivo, offrendo episodi sonori diversi uniti da un turbine poetico quanto mai intellettivo, romantico e soprattutto vero. Musicalmente questo è un lavoro molto variegato, con momenti acustici semplici che si amalgamano ad una composizione ben riuscita con situazioni da piccola orchestra wave. “Informazioni Sparse”, “L’Oro Inverso” sono una sequenza bellissima; mentre le riflessioni de “Il Passo Che Ascende” sono lo specchio della maturità di una band personalissima in ogni sua traccia. Cito ancora “Quasi Estate”, “Conferenza” e “Il Tenace Soldatino Di Piombo”, ma di questi quindici brani nessuno è inferiore o superiore all’altro. Le poesie di Piero scivolano via sulle armonie musicali di un gruppo di amici che vuole ancora esprimere emozioni vere. Note: lavoro in questo preciso momento disponibile in download via Jost Multimedia, tra poco (probabilmente già nel momento che leggerete queste righe) in cd in edizione limitata.
(Walter Piano)



recensione della rivista ROSASELVAGGIA

Conosco i Kyrie da parecchi anni, ho seguito tutta la loro carriera a partire dai demo degli anni ’90 (sono nati nel 1993) fino alla loro prima uscita ufficiale nel 2004 con le "Le meccaniche del quinto" edito da PMA Records di Urbino. I Kyrie poi sono scomparsi dalle scene per ritornare dopo ben otto anni con un nuovo album, questa volta scaricabile da internet (visti i tempi grami che la scena musicale sta vivendo ormai nell’era digitale). Ascoltando “Lo splendore del mattino che viene”, il tempo non sembra passato, il loro rock wave d’autore è sempre fedele al percorso musicale che hanno intrapreso. Ben 15 sono i brani di questo lavoro. Un disco non facile e solo per pochi. Questa è la caratteristica fondamentale di chi fa musica d’autore. I Kyrie hanno scelto la qualità e continuano a rispettare la propria essenza nata da vent'anni di gavetta. Questo è il motivo per cui questa band va rispettata e deve esser considerata con molta attenzione dal pubblico. Nella band vediamo all'opera Piero Sciortino, autore dei testi e delle musiche (voce, chitarra, tastiere, ecc) accompagnato dal fedele Dario Sangiorgi al basso, Renato Martinelli alla batteria e Francesco Galimberti alle tastiere. Ben ritrovati Kyrie!
(Nikita)



recensione del sito web MUSICMAP

Ricordate “Le Meccaniche del Quinto” disco che lanciò i Kyrie nel panorama indipendente italiano? La band di Piero Sciortino ritorna dopo una profonda pausa di riflessione con “Lo splendore del mattino che viene” (etichetta Jost Multimedia), nuovo lavoro raffinato, colto, accattivante excursus nel ricordo che ripropone la New Wave ricca di citazioni degli esordi e una scrittura matura. Non un concept, pur mantenendone alcune caratteristiche. Nell’intero lavoro si percepisce l’aspirazione alla bellezza, ad un’alba interiore, un’aurora consurgens come titola uno dei più importanti testi mistici occidentali di Jacob Bohme, a cui affidarsi nell’apparente confusione che la vita, per sviarci, ci pone davanti agli occhi. Con le parole di Platone: occhi troppo disabituati alla luce avendo vissuto troppi e troppi anni all’ombra in una caverna. I Kyrie suggeriscono la ricerca di qualcosa che possa trascendere l’uomo ed edificare un uomo nuovo, diverso, più umano. Prodotto dai Kyrie insieme allo scrittore Massimiliano Nuzzolo, già co-produttore del disco “L’esperienza segna” dei Soluzione, e masterizzato da Marco Berton, “Lo splendore del mattino che viene” esce per Jost ed è disponibile in tutti gli store digitali e presto nei negozi di dischi.
(Alessandra Gizzi)



recensione del sito web ERBA DELLA STREGA

Erano otto anni che i Kyrie mancavano dalle scene. E quando scrivo mancavano, intendo "ne sentivamo il bisogno", o qualcosa del genere. perchè bands come loro ce ne sono poche. Pulite, liscie, con una classe innata e un vero amore viscerale per la Wave che fu, ma suonata come si deve ed arrangiata con stile. "Lo Splendore del Mattino che Viene" è la versione 2012 dei Kyrie, più maturi ma sempre incisivi, che non si sono venduti a nessun trend, ne si sono lasciati andare in composizioni prive di spessore. Purtroppo il disco al momento è disponibile solo per il download, anche se è prevista un uscita "fisica" a breve. Ma torniamo al disco... Se avete amato alla follia i loro lavori precedenti, non rimarrete delusi ed anzi, troverete nuove perle pregne di poesia che vi accompagneranno nelle vostre giornate uggiose per molti, molti anni. La nuova Caffè Viennese potrebbe nascondersi proprio tra questi brani... La produzione di Massimiliano Nuzzolo assieme agli stessi Kyrie è cristallina e dona la giusta brillantezza alle quindici tracce dell'album. Eccellenti, come sempre.
(Max1334)


recensione del sito web STORIA DELLA MUSICA

Pochi mesi fa, nel giu­gno 2012, un gra­di­to e at­te­so ri­tor­no quel­lo dei Kyrie, dopo 8 anni di as­sen­za dalle scene. Li ave­va­mo la­scia­ti nel 2004 con l'en­tu­sia­smo su­sci­ta­to dal­l'ot­ti­ma new wave de Le mec­ca­ni­che del quin­to, esor­dio ufficia­le per PmA Re­cords dopo anni di demo e au­to­pro­du­zio­ni (ben 4, di cui un dop­pio).
Il tempo tra­scor­so lo si per­ce­pi­sce anche dalla con­si­sten­za di que­sto nuovo la­vo­ro, che si pre­sen­ta con la bel­lez­za di 15 brani per 75 mi­nu­ti com­ples­si­vi di mu­si­ca. Ma lo spes­so­re non è dato solo dal­l'e­sten­sio­ne tem­po­ra­le (che piut­to­sto fi­ni­sce spes­so per ca­rat­te­riz­zar­si come un'ar­ma che gioca a sfa­vo­re di chi la im­pu­gna, ma non in que­sto caso), quanto piut­to­sto da una den­si­tà di con­te­nu­ti este­ti­ci, for­ma­li e spe­cu­la­ti­vi non in­dif­fe­ren­te. 
Un la­vo­ro di ri­cer­ca pro­se­gui­to nel tempo, cul­mi­na­to nel pre­ce­den­te lp e ul­te­rior­men­te svi­lup­pa­to in que­st'ul­ti­mo. Le so­no­ri­tà, fat­te­si più asciut­te e scar­ne, sono ben rese da un uso meno mas­sic­cio di elet­tro­ni­ca e sin­te­tiz­za­to­ri che lascia­no il posto alle chi­tar­re elet­tri­che o ad av­vol­gen­ti ar­peg­gi elet­tro-acu­sti­ci e ad una se­zio­ne rit­mi­ca più secca e, in al­cu­ni epi­so­di, più ag­gres­si­va. Il grup­po sem­bra pun­ta­re più al­l'es­sen­za, quel­la vi­ta­le dei pezzi, e ad un mag­gio­re intimi­smo, sce­vro da ec­ces­si­ve ar­chi­tet­tu­re ed ar­zi­go­go­lii so­no­ri.
Ri­ma­ne pur sem­pre no­te­vo­le il tri­bu­to a certa new wave che ha ca­rat­te­riz­za­to il ven­ten­nio 80-90: dagli Smi­ths ai The Chur­ch pas­san­do per Echo & The Bun­ny­menUl­tra­vox fino a giun­ge­re al­l'a­pi­ce in­di­scus­so su cui tro­neg­gia­no i Cure, per cui la band di Scior­ti­no non ha mai ce­la­to un amore in­con­di­zio­na­to. Amore che forse in al­cu­ni mo­men­ti finisce per co­sti­tui­re un li­mi­te, so­prat­tut­to quan­do il gioco di ri­man­di e ri­fe­ri­men­ti sti­li­sti­ci si pa­le­sa eccessivamente, sareb­be certo in­te­res­san­te veder de­fi­ni­ti­va­men­te ta­glia­to que­sto cor­do­ne om­be­li­ca­le e ve­de­re il grup­po ela­bo­ra­re un re­gi­stro de­fi­ni­ti­va­men­te pe­cu­lia­re.
Detto ciò, va sot­to­li­nea­to che si trat­ta co­mun­que di un la­vo­ro for­te­men­te ispi­ra­to e me­di­ta­to, ele­men­to que­sto che si ca­rat­te­riz­za come una co­stan­te per quasi tutte le 15 trac­ce del­l'o­pe­ra, forse me­ri­to anche degli 8 anni tra­scor­si, in cui la band ha sa­pu­to li­ma­re, ca­li­bra­re, do­sa­re sa­pien­te­men­te ogni in­gre­dien­te, col ri­sul­ta­to di un equi­li­brio quasi per­fet­to tra le due anime ge­ne­ra­te­si: una più in­ti­mi­sta e di­mes­sa, l'al­tra più elet­tri­ca ed ener­gi­ca. 
Ul­te­rio­re men­zio­ne va fatta per i testi, mai ba­na­li o inu­til­men­te cer­vel­lo­ti­ci, che svet­ta­no in­ve­ce in so­brie­tà ed ele­gan­za nar­ra­ti­va: pic­co­le sto­rie fatte di ri­cor­di, sug­ge­stio­ni o fer­mo im­ma­gi­ne ni­ti­da­men­te cat­tu­ra­ti e im­mor­ta­la­ti. Spic­ca­no tra i mi­glio­ri epi­so­di la ti­tle­track, lu­mi­no­sa bal­la­ta che scor­re su lun­ghi tap­pe­ti so­no­ri tra Cure e Cocteau Twins,
L'aeronau­ta, per­fet­to in­trec­cio di piano, ta­stie­re e basso per 7 mi­nu­ti di ma­lin­co­ni­co fluttuare, e l'in­ti­mis­si­mo neo-folk di Luce d'ac­qua, av­vol­gen­te e ca­tar­ti­co. Rit­mi­che che si fanno so­ste­nu­te e in­cal­zan­ti in pezzi come Dopo 20 anniIl sa­gra­to di San Lo­ren­zoIn­for­ma­zio­ni spar­se, cul­mi­nan­ti nei ta­glien­ti e ser­ra­ti riff di Quasi esta­te. Intro  alla Death in June per Il passo che ascen­de, men­tre Il­de­gar­da di Bin­gen, omag­gio alla ce­le­bre fi­lo­so­fa, poe­tes­sa e mu­si­ci­sta me­die­va­le, chiu­de l'o­pe­ra pla­nan­do su mi­sti­che scie d'or­ga­no e cori mo­na­sti­co-gregoriani. 
Confe­ren­za a lu­glio sem­bra ri­pren­de­re da vi­ci­no le at­mo­sfe­re delle Mec­ca­ni­che del quin­to, così come la lunga scia sono­ra di synth e or­ga­no che ca­rat­te­riz­za Il luogo da cui parli, a metà tra il primo Bat­tia­to spe­ri­men­ta­le e i Dead Can Dance, si rial­lac­cia al filo di Ab­ban­do­nan­do­mi, trac­cia con­clu­si­va del pre­ce­den­te la­vo­ro, lì do­ve'e­ra stato in­ter­rot­to.
Un disco denso, com­ples­so e in­ti­ma­men­te bello, da ascol­ta­re e ria­scol­ta­re la­scian­do­si tra­spor­ta­re in una di­men­sio­ne so­spe­sa tra ete­reo di­va­ga­re e in­quie­to in­du­gia­re, tra moti ascen­sio­na­li e cam­mi­ni senza tempo.
(Marco Salanitri) voto 7.5/10


recensione del sito web BLOG di DONATO ZOPPO
Era il 2004. Lo ricordo ancora quel disco, come pochi altri mi tenne “prigioniero il cuore”. Parlo de “Le Meccaniche del quinto” dei Kyrie, formazione milanese che torna otto anni dopo con un nuovo, ricco e avvincente lavoro che propone subito, senza mezzi termini, una speciale continuità con il magico predecessore. “Lo splendore del mattino che viene” è un lungo e accattivante excursus nel ricordo: tema cruciale e centrale non solo di un lp ma dell’intera vicenda artistica dei Kyrie. Rispetto alla narrazione dark/wave dell’esordio, il secondo album apre lo scenario a un rock battiatiano, misurato e aristocratico, talvolta disponibile a sconfinare nella ballata sognante e crepuscolare, apparentemente in linea con le dinamiche dell’indie contemporaneo ma lontano anni luce per sensibilità, preparazione, sviluppi culturali e qualità del lessico. Toccante.” 
(Donato Zoppo)


recensione del sito web DARKITALIA

I Kyrie tornano con "Lo splendore del mattino che viene", un lavoro poliedrico che sposa l'anima cantautoriale un pò spleen e neofolk ( la title track ne è un esempio lampante, pur restando molto "happy" e rilassata rispetto alle altre tracce, per esempio "L'oro inverso") ai toni più cupi e introspettivi, sublimati però in riflessi adamantini e lucenti, perchè la band non si compiace mai di indugiare nè liricamente nè musicalmente su una cupezza (auto)distruttiva fine a se stessa; anzi, si nota che la musica dei Kyrie sfiora appena il lato oscuro per poi risalire verso la luce.
"Dopo 20 anni", "L'aereonauta" (canzone a dir poco perfetta, che ci riporta alla perfezione estetica Dark Wave e non sfigurerebbe a confronto di una "Other Voices", "Charlotte sometimes" o "The drowning man") "Il sagrato di San Lorenzo", "Il dominio delle frequenze" sono ottime rivisitazioni dei Cure periodo "Seventeen seconds" e "Faith": la stessa atmosfera bianco-grigia, quasi una sorta di "gioiosa malinconia".
Fluidità, Leggerezza, una consistenza soffice e nevosa, più che liquida, il tutto sempre teso tra parti più riflessive alternate a parti di "ripresa" ("Informazioni sparse") mentre "Il luogo da cui parli" fluttua su un substrato sfaldato e "fantasmico" lontano che si perde in cerchi concentrici "mesmerizzati"; l'effetto è di sopore ed ipnosi, e potrebbe essere un ulteriore sperimentazione su cui tornare prossimamente.
Chiude il cd "Ildegarda di Bingen" dal sapore medioevale e tragico.
Gran bel pezzo, che dimostra la vena personale e creativa della band che "non ha paura" di prendere ispirazione da molteplici fonti, andando oltre ai soliti clichè "di scena", in questo caso riproponendo una song dal sapore "gotico-gregoriano".
Le vocals sono sempre delicate ed autunnali, un pò da "bambino fragile e sperduto", che suscita tenerezza e un vago sapore di "infanzia perduta"
(peccato però non aver sfruttato l'occasione dell'inserimento di qualche canto femminile in "Ildegarda di Bingen"! ) e rendono molte di queste "ballate" quasi delle ninne nanne ("Casa") spesso virate proprio su auree fiabesche (a lieto fine..?) come in "Il soldatino di stagno" (altro esempio della grande ispirazione creativa a 360 gradi su diversi temi!).
Una grande sensibilità emozionale, accarezzata da quiete e tepore, più che la disperazione senza fondo:  ci troviamo di fronte a suoni di rimembranze, viaggi, estati, amori perduti che riaffiorano tra i solchi di molecole di malinconia grigia, ma in un batter d'occhi, ci troviamo a scrutare all'orizzonte (di noi stessi) i primi raggi del sole del mattino "che viene".
Rammarico (ma non contrizione) del tempo che inesorabilmente scorre, in una serena accettazione di ciò che chiamiamo vita.
Una band a cui offrire la possibilità di suonare, suonare, suonare, consigliati soprattutto a serate tematiche, reading di poesie ("Il passo che ascende" o "Luce d'acqua" sono perfette in tal senso come colonna sonora per celebrare, per esempio, "un poeta delle piccole cose" come Pascoli o Betocchi). Anzi, suggerisco alla band di cimentarsi nella riproposizione di qualche testo poetico, perchè questi ragazzi hanno le giuste potenzialità per coniugare la loro musica alla nostra tradizione poetica "più fragile e spleen" del '900.
(Laura Deiana)


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