domenica 6 maggio 2012

L'albero e il punto


Spesso, quando scrivo, guardo fuori dalla finestra del mio studio.
Proprio davanti a me, a ridosso dei vetri, quasi a lambirli, c'è un abete sempreverde che anche d' inverno resta rigoglioso e fa da riparo ai merli quando piove. Sulla destra, sul lato occidentale del parco, più lontano in prospettiva c'è un grande albero, un pioppo. Svetta su tutto e tutti.
E, anche se un po' isolato, pare controllare i suoi simili li' attorno come un anziano padre o come un severo e rispettato direttore d'orchestra che detta il ritmo e le cadenze del dondolio dei rami e delle foglie quando si alza il vento. Pare uno di quei capi banda di paese  fieri e umili nella loro uniforme ufficiale da esibizione. E' spoglio. I suoi rami piu' bassi hanno un palazzo giallo come sfondo, quelli piu' alti e magri  come sfondo hanno il cielo. Ora il cielo è colorato d' azzurro e d' arancio. Sta tramontando il sole. Questo albero così grande e quasi immobile sta la' fuori, al freddo. E' spoglio, dicevo, ma magnifico. Man mano che sale in alto la sua struttura si alleggerisce e sembra snellirsi. Ora lo guardo e mentre lo guardo, ascolto, rinchiuso nel mio studio, al caldo di un termosifone adiacente alla finestra, alcuni brani per orchestra di Nino Rota. Rota, il preferito tra i musicisti da Federico Fellini. Ricordo che mi colpi' anni fa leggere su un giornale che mori' nello stesso anno e nello stesso mese di mio nonno, e allo stesso modo, in una mattina estiva e soleggiata di giugno del 1979. Poco, quella mattina cosi' tersa e leggera, pareva aver a che fare con qualsiasi fine. Sorrido, sono solo ma sorrido come se di fianco o di fronte a me ci fosse qualcuno, come se mi stessero inquadrando per una foto. Sento vivere ogni cosa attorno a me mentre, fissando a lungo questo gigante, la mia attenzione si sposta e scorge il perpetuo ondeggiare del mio respiro. Il mio respiro. L'unica cosa in me che possa sincronizzarsi al ritmo dettato dal vento e mimato dai rami. Qualcosa di più vasto ci racchiude e ci comprende come fosse un'enorme campana  trasparente che sa racchiudere ed abbracciare oltre noi, anche il contesto intero in cui noi due ora ci muoviamo, viviamo e siamo.
 Io e lui difatti viviamo. E vive l'insieme. Ora lo sento. Ora lo so.
I brani per orchestra mi riportano alla mente una persona. Era una ragazza. Tanti anni fa questa ragazza aveva sedici anni ed eravamo innamorati. I miei occhi si chiudono all'ennesima esplosione di archi e di timpani della musica di Rota. Lei e' davanti a me anche se morì quattro anni fa. L'albero e' sempre li' e sembra scrutarmi con nobiltà, quasi pudicamente, lasciandomi  tranquillo in questo mio angolo di casa davanti ad una scrivania. Non mi posso nascondere, percepisco questa impossibilita', perche' ora non ci sono distanze, manca lo spazio e manca il tempo. Anche l'alto e il basso si confondono.
 Tutto a volte diventa un punto. Un punto in cui vive cosa. Ogni forza ed ogni debolezza, ogni potere ed ogni misericordia. Un punto in cui convivono ogni padre ed ogni madre, ogni tempo ed ogni non tempo mai esistiti. Un tempo, un luogo in cui coesistono ogni elevazione ed ogni caduta, ogni ascesa ed ogni abisso. Tutto e' sempre qui ed esisterà per sempre. Non da qualche parte. Proprio qui, proprio adesso.
Ora il cielo si è scurito. Le luci artificiali nelle case si accendono. Qualcuno dietro quelle luci gialle o bianche che paiono  appese ai balconi, stara' preparando la cena o apparecchiando la tavola per la propria famiglia o per qualcuno che deve ancora rientrare. Altri staranno seguendo distrattamente qualche immagine colta con la coda dell'occhio mentre girano distratti per la casa. Immagini, suoni spezzati senza continuita' da una televisione che immagino grigia e  messa li' in qualche angolo a me sconosciuto.
Domani mattina verso le otto quando scenderò per prendere il caffé quelle luci saranno spente.
Domani, mi dicono, ci sara' il sole.

Piero

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